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SESSANT’ANNI FA UN INTERO PAESE IN LUTTO PER LA TRAGEDIA DI MATTMARK

Redazionale

Se ancora oggi socchiudo gli occhi e provo a pensare a quel tragico 30 agosto del 1965 sento, come allora, il rombo cupo e pauroso delle pale dell’elicottero del Soccorso Alpino Elvetico, pilotato da quell’Angelo delle nevi che si chiamava Geiger. Sorvolava la Vallata del Saas, nelle Alpi Svizzere, per controllare se le cime dell’Allalin, il ghiacciaio della morte, si muovessero ancora, seminando altri lutti magari tra le squadre dei soccorritori. Aveva lanciato dal cielo un liquido giallastro posto ad evidenziare eventuali crepe nel ghiacciaio. Ma quella maledetta montagna  si sentiva ormai appagata e si godeva lo spettacolo spettrale, imperterrita. Ero arrivato a Briga il giorno dopo la sciagura, con una delegazione di amministratori del Comune più provato da quella tragedia e da quel momento ritenuto “Paese simbolo delle sventure meridionali”. Scrive Saverio Basile che con Francesco Mazzei hanno pubblicato Mattmark storia di una tragedia annunciata. “A riceverci un funzionario del Consolato italiano e i volontari della Croce Rossa Svizzera, che ci accolsero con le dovute premure, cominciando a metterci a disposizione un paio di scarponi ciascuno e una giacca a vento, perché il freddo si faceva pungente a quella quota, malgrado fossimo solo a fine agosto. Nell’ampio salone della mensa operai allestita dalla Società, in una grande baracca di legno ai piedi della montagna, quei pochi sangiovannesi rimasti, ci tennero compagnia. Gli altri sopravvissuti erano scapati dalla paura, ma forse volevano semplicemente tranquillizzare i familiari di essere ancora vivi. Il nostro soggiorno si protrasse per qualche giorno, con la speranza che le salme dei sette sangiovannesi sepolte nel ghiacciaio potessero essere riportate alla luce perché noi potessimo accompagnarle nell’ultimo viaggio. Ne vedemmo solo una, quella di Antonio Talerico, 31 anni, sposato con Rosa Gallo e padre di due figlie, Angela di 6 anni  e Maria di solo 6 mesi che non conobbe mai più suo padre. Faceva l’autista pure lui, chiamato tra quelle montagne da Fedele Laratta, che aveva reclutato più di un connazionale. Anche lui era partito per guadagnare un po’ di soldi, per poter acquistare a rate un “Leoncino” con il quale pensava di mettersi in proprio per trasportare sabbia e cemento per conto dei muratori  impegnati a costruire in paese le “case degli emigrati”. Le rimesse dall’estero, infatti, hanno dato in quegli anni un grande impulso allo sviluppo urbanistico di San Giovanni in Fiore. Fu uno sviluppo caotico che provocò guasti ambientali più di un terremoto”. A distanza di sessant’anni da quella tragica sciagura vogliamo ricordare quegli sfortunati compaesani che non hanno fatto più ritorno da vivi nel nostro paese: Giuseppe Audia (classe 1929), Gaetano Cosentino (classe 1909), Fedele Laratta (classe 1927), Francesco Laratta (classe 1945), Bernardo Loria (Classe 1926), Antonio Talerico (classe 1934) e Salvatore Veltri (classe 1945) perché a futura memoria se ne ricordi il sacrificio. Intanto vi ricordiamo che questa sera alle ore 23,35 su TG3 Rai andrà in onda un filmato su “Mattmark 1965 – Storie vicine e lontane”!