GIOACCHINO DA FIORE TRA PLATONE E PIRANDELLO

Nella splendida cornice dell’Abbazia Florense, affollata da un attento pubblico, si è svolto il ventiseiesimo seminario della Scuola di Formazione Gioachimita organizzata dal Centro internazionale di studi gioachimiti per promuovere la diffusione della conoscenza di Gioacchino da Fiore e del gioachimismo. Suggestivo il tema dei lavori: La forza delle immagini – Gioacchino da Fiore tra Platone e Pirandello”. Introducendo i lavori il prof. Giuseppe Riccardo Succurro, presidente del Centro studi e direttore della Scuola, ha evidenziato la figura di Gioacchino da Fiore “pensatore pittorico”. Succurro ha ripercorso le caratteristiche del Liber Figurarum che hanno indotto gli studiosi a utilizzare il termine di “teologia figurativa”, come si comprende dal volume “Disegni dei tempi” di Marco Ramini e dagli Atti dell’ultimo congresso internazionale di studi gioachimiti, “Pensare per figure”. La prof.ssa Maria Tilde Bettetini – docente di estetica e Storia della filosofia all’Università IULM di Milano - ha incuriosito il pubblico con un excursus su due millenni di dibattito sul ruolo delle immagini nella civiltà occidentale. La Bettetini si è soffermata sul pensiero diagrammatico-simbolico dell’abate di Fiore. Come gli occhi del cieco nato dell’episodio evangelico, i nostri occhi della mente saranno aperti dal «fango» delle figure, strumento per acquistare la vista dell’intelletto, quindi la comprensione. Così Gioacchino da Fiore, il «calavrese abate Giovacchino, di spirito profetico dotato» del Paradiso dantesco, oggetto da qualche tempo di grande attenzione sia per l’innovativa lettura delle immagini, sia per la più nota visione apocalittica della storia. Gioacchino è un uomo della Sila, nasce a Celico intorno al 1135, studia ed esercita da notaio a Cosenza e Palermo, viaggia da pellegrino in Terra Santa, si ritira da eremita sulle pendici dell’Etna, entra nell’abbazia benedettina di Corazzo di cui è abate poco più che trentenne. Poi viaggia ancora: l’abbazia di Casamari, nel Lazio, per ottenere l’affiliazione ai cistercensi e per studiare; Roma, le corti di Verona e Palermo, fino a ottenere nel 1189 Jure Vetere, una località che chiamerà Fiore e dove fonderà una congregazione di monaci detta florense: perché il fiore è il simbolo della nascita della natura e dello spirito. La fine giunge a San Martino di Canale intorno ai settant’anni, nel 1202. Fino a quel momento considerato un santo e profeta, spesso consultato dai papi, diventerà ispiratore esoterico dei Francescani spirituali, di Dante, forse del Michelangelo della Cappella Sistina, molto amato in Messico e Sudamerica. Il Libro delle figure è, infatti, una raccolta di immagini non destinate a decorare le pagine come se fossero miniature; nemmeno a meglio spiegare i concetti scritti, come le tavole dei testi scientifici. “Sono disegni – ha concluso la Bettetini – che presentano un pensiero, senza bisogno della parola scritta, tranne il caso di qualche breve didascalia, un pensiero teologico detto per immagini, grazie a una visione di un mondo in cui tutto è collegato e concatenato, senza soluzioni di continuità. L’universo di Gioacchino è una macchina perfetta, contenuta nella Rivelazione così come nelle sue parti. Le ere del mondo corrispondono a quelle della vita umana, alle sezioni dell’anno liturgico, alle persone della Trinità, e alla parola e al segno della mano dell’uomo. Pertanto è opportuno disegnare una figura delle cose dette, da porre davanti agli occhi della carne, affinché “gli occhi della mente, al di fuori del fango apposto, si aprano alla conoscenza”.

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