VA VULITI FA NA FOTO?

Ricordi d’infanzia della scrittrice italo-americana Anna Paletta Zurzolo

Sembrava un giorno come tutti gli altri. Il pecoraio era passato con il suo gregge. il belare e il tintinnare del campanellino,  attaccato al collo di ogni capretta, aveva svegliato la piccola Anna.  Quel giorno era il suo turno: toccava a lei scendere le scale con il “chiccariellu” per prendere il latte. Il pecoraio, come ogni mattina, prendeva la tetta della capretta più vicina a lui e spremeva il latte nella ciotola. Le prime gocce suonavano come soldini nella tazza di un mendicante. Poco meno di un litro. Doveva bastare per tutti. La zia, come al solito, lo aveva allungato con il caffè e, per fortuna, c’erano abbastanza tozzi di pane duro, che sarebbero bastati a non far bisticciare i ragazzi. Ma Anna non era di buon umore. La maestra, aveva avvisato per tempo che oggi sarebbe stato il giorno delle foto ricordo. A 7 anni, in seconda elementare, Anna era in agitazione per l’avvenimento. La vanità non conosce barriere economiche e neanche di età. Aveva ascoltato le sue compagne. Chi comprava un nuovo fiocco, chi andava dal parrucchiere, chi metteva il grembiule nuovo e chi, forse, avrebbe comprato anche un cerchietto per l’occasione. Anna non poteva chiedere di andare da un parrucchiere. L’ultima volta che l’aveva fatto, sua zia l’aveva portata dal barbiere e a taglio completato, dall’ immagine che le rimandava lo specchio, non si capiva se fosse lei o il fratello Salvatore! E poi chiedere un cerchietto le avrebbe garantito un ceffone oltre che la solita, lunga lezione sulla emigrazione, il buio delle miniere e sulla nocività del carbone. E se avesse detto alla zia che Adelaide e Caterina Oliverio possedevano due diversi e bellissimi cerchietti, uno bianco e l’altro rosa addobbati di fiori, le avrebbe dato un altro ceffone per stimolare il suo cervello a ricordare che suo padre non era impiegato in banca e non era neanche professore. Anna si avviò a scuola, scontenta e desolata. Davanti la porta del negozio del Mancuso aveva trovato una scatoletta di tonno vuota che prese a calci fino al portone della scuola elementare “Dante Alighieri”. Si, Dante Alighieri, quello abbastanza famoso, tanto da avere il suo nome sul portone di una scuola, solo perché aveva indovinato cos’era il miglior boccone. “Quello con il sale!” era stata la sua risposta! Ma che risposta è? Questo lo sa pure mia zia e non le hanno intestato un bel niente! Nel cortile della scuola, davanti al portone, un gruppo di ragazzacci le prese la scatoletta.  In mezzo a loro Anna individuò quello che aveva cercato di picchiare suo fratello maggiore. Gli corse dietro e, sebbene tutti fossero più veloci di lei, riuscì a sferrare qualche calcio. L’ultimo colpì il figlio della maestra che si trovava lì, tranquillo come un angelo, a farsi i fatti suoi. Nel cortile c’era anche Caterina che la guardava.  Anna la vide e sentì il suo sguardo penetrarle nel cuore. Non sarebbe stato un giorno facile. La maestra era in piedi dietro la cattedra quando Anna entrò in classe, in ritardo e scarmigliata.  Tutte le sue compagne erano sedute, agghindate e composte come se il fotografo fosse già lì, pronto a scattare le foto. Colletti stirati, grembiuli lavati, capelli ordinati. Adelaide non aveva bisogno di raccomandazioni: la madre l’aveva portata dal parrucchiere per rinfrescare il caschetto. Anna Iaquinta con le sue treccine bionde e ben infiocchettate, era seduta nel suo banco già in posa, con una mano sulla guancia e occhi sognanti. Le gemelle avevano le “nocche” nuove. Chi le trecce e chi le code, tutte erano pronte, eccetto lei.  Anna sembrava avere un “siamese” in testa con tutti quei capelli scompigliati e arruffati. Mariella, scuotendo leggermente la testa, diede uno sguardo di intesa ad Adelaide. Era chiaro…  Anna con il siamese in testa avrebbe rovinato la foto! Adelaide le sussurrò, con la solita ironia, che era troppo tardi per chiedere a un veterinario di rimuovere il “siamese” dalla testa di Anna.  “Bambine, dobbiamo trovare una soluzione! Anna non può fare la foto con quel cespuglio in testa!” Si lamentò la maestra. Cespuglio o gatto bisognava agire in un qualche modo! Caterina seduta all’ultimo banco, con il suo bel cerchietto rosa nei capelli, frugava nelle tasche come alla ricerca di qualcosa. Poi con occhi tristi allungò a Anna un grande fazzoletto spiegazzato per intrappolare il “siamese” annidato sulla sua testa.  Quanto avrebbe voluto scappare da quel manicomio, Anna!  La maestra si mosse dalla cattedra, sembrava non sapere che fare. Le compagne circondarono Anna e, incuriosite, volevano vedere il gatto siamese accasato sulla sua testa. Erano tutte preoccupate per la foto. Anna si guardò attorno perplessa. Si chiedeva cosa volessero da lei, forse tagliarle i capelli? Senza neanche pensare ad una eventuale reazione, presa dall’ansia e da un senso di claustrofobia, la sua mano, come guidata da una forza indipendente, si trovò, sulla testa di Mariella, pronta a strapparle il suo bel fiocco rosa. Era sicura che le sue dita avessero afferrato la morbida seta, invece no, non era il fiocco rosa! Adelaide, infatti, rapidamente si era posizionata davanti a Mariella e le mani di Anna erano andate a finire sul suo caschetto. Altro ché fiocco di seta!  Il grido di dolore di Adelaide fece precipitare la maestra verso gli ultimi banchi dell’aula e, nello stesso tempo, Anna verso la porta. Ma la porta era chiusa e c’era qualcuno che bussava.  Anna si rifugiò, allora, dietro la lavagna. Nell’aula regnava una grande confusione! La maestra impartiva ordini mentre le gemelline Teresa e Geppina, con la loro proverbiale pazienza, cercavano di convincere Anna ad uscire dal suo nascondiglio. Ma lei continuava a rimanere ora dietro, ora sotto la lavagna, come un gatto spaventato. A quel punto la maestra pensò bene di imporre la propria autorità. “Adesso la pianti e vieni subito fuori da lì, CAPITOOOO!” Non lo avesse mai fatto. Anna cominciò a disperarsi e piangendo uscì da dietro la lavagna per sgattaiolare tra un banco e l’altro inseguita dalle altre compagne.  Intanto Lucrezia, con l’espressione mortificata, nonostante la confusione, cercava inutilmente l’attenzione della povera maestra per farle sapere che non poteva fare la foto senza il permesso dei suoi genitori. La foto doveva essere pagata e, per paura di non avere i soldi necessari, lei preferiva non farla. Si aggiunse a Lucrezia Maria Marra di Giovanni. Anche lei non avrebbe fatto la foto. Abitava con la nonna e la zia e, per non far spendere soldi, non le aveva neanche informate dell’avvenimento. Ormai mancava poco all’arrivo del fotografo. La maestra alternava toni sforzatamente tranquilli a urla isteriche e terrorizzanti.  Ma Anna, con la sua faccetta imbronciata, continuava a girare tra i banchi inseguita dalla maestra paonazza in viso e, pure lei, con i capelli sconvolti. “Piccolo vai a chiamare la zia di Anna, ma vola!”  “

“Maestra mandaci Rina o Rosa Audia, loro abitano più vicino ad Anna!”

“Ma che avete oggi? Bene! O si offre una volontaria o mani tese …tutte!”  Urlò la maestra brandendo una minacciosa sferza di legno.

Trentadue mani volontarie si alzarono verso il cielo…

A questo punto la maestra si trovò davanti ad un altro dilemma: chi nominare ambasciatrice? Rapidamente e con saggezza decise che sarebbe stato più opportuno inviare in missione la bidella.

Tiresina ‘e Tiracampana, cosi si chiamava la bidella, in men che non si dica comparve sull’uscio dell’aula, trafelata per la corsa e ansiosa di conoscere il motivo di cosi immediata convocazione. La zia di Anna era appena arrivata a casa e si trovava ancora sull’uscio quando vide arrivare la bidella.

La zia era una donna di piccola statura ma con un cuore grande. Aveva dedicato la sua vita ai nipoti che amava incondizionatamente. Quei birbantelli erano la sua gioia ma anche la sua disperazione per le marachelle che spesso combinavano. Erano il suo presente e il suo futuro, erano il suo tutto. Nel vedere Tiresina ansimante intuì subito che uno dei suoi nipoti aveva fatto qualche birichinata. Non fece in tempo a chiederselo che Teresina, afferrandole il braccio e non riuscendo a parlare per il fiato corto, le indicava di correre verso la scuola. Mille domande tormentavano la mente della povera zia…cosa mai poteva essere accaduto di tanto grave? Perché era tanto urgente la sua presenza? Intanto la bidella aveva recuperato un po’ il fiato e velocemente le aveva raccontato l’accaduto.

Mentre le due donne procedevano con una certa celerità, si era aggregato al loro cammino un galletto di Saveria. Più le donne aumentavano la loro andatura, più il pennuto teneva loro il passo, saltellando e beccando di tanto in tanto la caviglia della zia di Anna. La donna incominciava ad infastidirsi, dando segni di insofferenza e scalciando all’indietro per allontanarlo. Il galletto, testardo, insisteva e la zia urlava “vavatinne alla casa! A no? Tu vo’ finire ‘ntra ‘na cassarola, allura!” Minaccia che lasciava intuire che fine avrebbe fatto il pennuto impertinente. Non bastavano i nipoti, pure il gallo! Poi, spazientita, lo acciuffò con una velocità ammirevole e lo infilò in una grande tasca del vestito, a sua volta sovrapposto da un largo e pesante grembiule nero. E cosi tra lo strepitio del galletto e l’incombenza di tenerlo a bada, era giunta a scuola.

Con Tiresina salì in fretta la scala, ma la porta dell’aula era chiusa e dall’interno proveniva un chiasso infernale. Dopo aver bussato più volte e inutilmente, Saveria aprì con forza la porta.   Alla vista della zia, Anna prima impallidì, poi divenne rossa e, infine, cercò di rifugiarsi di nuovo dietro la lavagna.

La zia!!! Perché si trovava a scuola nella sua classe e non a casa a preparare la salamoia per la conservazione delle sarde? Nella testolina di Anna si affastellarono tante congetture … Di sicuro la zia vedendola dietro la lavagna avrebbe pensato a una punizione e, poi avrebbe certo disapprovato il comportamento degli alunni che correvano tra i banchi e dell’insegnante che urlava, senza ottenere l’ordine richiesto.

Contrariamente al proprio carattere, la zia si scusò per la sua interruzione e fece finta di non vedere Anna muoversi lentamente da dietro la lavagna verso il suo banco e prenderne posto.

Quando Anna finalmente alzò gli occhi verso la zia, vide che sorrideva e teneva tra le mani un cerchietto. Era bianco adornato con piccoli fiori rosa, come quello che aveva in testa Caterina, cambiava solo il colore: bianco invece che rosa.  A rompere il silenzio che, improvvisamente, si era creato ci pensò la zia. Disse alla maestra che lo aveva trovato fuori, davanti alla porta del tabacchino, quando era andata a comprare il sale.

Caterina lo riconobbe. Era il suo cerchietto bianco, quello che aveva inutilmente cercato nella tasca del grembiule. Si lanciò verso Saveria e glielo prese dalle mani.

“E’ mio” disse imbronciata e decisa.

Anna si aspettava che Caterina tornasse al suo banco e mettesse il cerchietto nella cartella.  E la zia, improvvisando il ruolo del veterinario, certo avrebbe afferrato il “siamese” dalla testa trascinandola fuori dall’aula! E invece la zia, piuttosto tranquilla, ma con gli occhi bassi come se contasse le mattonelle, le era vicina con le mani vuote.

E poi, vide Caterina Oliverio avanzare verso di lei. Si era fermata a un passo di distanza e con un sorriso le aveva teso la mano, quella con il cerchietto bianco!!!

“L’ho perso stamattina, ma lo avevo messo in tasca per te “

La zia, la maestra, Mariella, Adelaide e tutte le altre compagne sorridevano, Maria Franca, la tenerona, aveva gli occhi lucidi.

Nel frattempo, qualcuno bussava alla porta e il galletto che la zia aveva riposto nella tasca, approfittando della situazione favorevole sgattaiolò dal suo nascondiglio, e saltellando correva all’impazzata da un capo all’altro dell’aula. Il poverino era spaventato dalle urla della classe…. “Prendetelo!”  Gridava la maestra impaurita. Lei odiava pulcini, galli, galletti e galline.

“Acchappalu, acchappalu e ra cura “

suggeriva Serafina Marasco a Maria Marra di Giuseppe, che tentava di fermarlo.

“No, acchappalu e ra cristarella”, incalzava l’altra Maria Marra di Giovanni

“Ma no! Dalle scille!” suggeriva Pina Talerico.

“Povero galletto” esclamò Maria Franca con la sua solita dolcezza.

A quel punto intervenne Lucrezia, che orgogliosa delle sue origini contadine, lo afferrò con sicurezza e lo consegnò alla zia di Anna che, per l’imbarazzo creato, era rimasta immobile e basita.

Il galletto era tornato nel tascone.  La classe esultava di gioia!

Qualcuno apre la porta.

Flash! il lampo improvviso di una lampadina interruppe il gioioso clamore.

Era il fotografo…finalmente!!!

“Allora…va voliti fa’ ‘sta foto? Si o no?”

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