IL 12 APRILE 1530 NASCEVA IL “CASALE” DI SAN GIOVANNI IN FIORE

Redazionale

Il 12 aprile 1530 l’imperatore Carlo V emanò un diploma con il quale concesse a Salvatore Rota, abate commendatario del Monastero di San Giovanni in Fiore, il diploma di “costruire ed edificare” un casale, con l’esenzione dalle tasse per un periodo di dieci anni.  Accanto alla città monastica sorse la città civica.  L’ultra millenaria storia della città di San Giovanni in Fiore verrà ripercorsa in una conferenza che lunedì 12 aprile 2021, alle ore 10, sarà svolta dal presidente del Centro internazionale di studi gioachimiti, Giuseppe Riccardo Sicuro. Partners dell’evento sono i Licei e l’Istituto di Istruzione Superiore “Leonardo da Vinci” di San Giovanni in Fiore, diretti dai dirigenti scolastici Angela Audia e Giovanni Tiano. Documenti storici testimoniano i periodi longobardi, bizantini, normanni, svevi, angioini, aragonesi, spagnoli. Diplomi imperiali e bolle papali intrecciano importanti figure storiche con San Giovanni in Fiore: Gioacchino da Fiore, re Tancredi, imperatrice Costanza, papa Celestino III, Enrico VI, Federico II, papa Innocenzo III, papa Onorio III, Luca arcivescovo di Cosenza, Roberto d’Angiò, papa Alessandro VI, Salvatore Rota, imperatore Carlo V. Citando un documento di Federico II, verrà analizzato il toponimo Fara domus, di origine longobarda. Fara è la più diffusa parola longobarda ed indica un insediamento a scopo militare.  A differenza del Proto monastero edificato da Gioacchino nel 1189 a Jure Vetere, in una località da lui denominata Fiore con un chiaro significato simbologico-spirituale, la Chiesa abbaziale florense di San Giovanni in Fiore sorge in una località che aveva già secoli di storia ed un toponimo, Fara domus oppure Faraclonus, di origine longobarda. Nei secoli VIII e IX, infatti, la località Faradomus era  un avamposto difensivo longobardo sull’estremo confine sud-orientale del Ducato di Benevento, “la più meridionale che si conosca in Italia, sulla destra del Neto, in posizione dominante e strategica” (scriveva cinquant’anni fa Romano Napolitano), un posto di guardia dal quale i longobardi tenevano “sotto controllo la gola del Neto, oltre la quale, fino alla costa ionica,  il territorio era rimasto sotto il dominio di Bisanzio, che lo difendeva attraverso una serie di castra e castelli” (G. Greco). Il condottiero bizantino Niceforo Foca, inviato dall’imperatore Basilio I, conquistò nel biennio 885-886 tutti   territori longobardi della Calabria, respinse i saraceni in Sicilia; l’Italia meridionale peninsulare passò, quindi, sotto la sovranità bizantina.  I monaci basiliani   del monastero dei Sanctorum Trium Puerorum della località Patia nei pressi di Caccuri, durante il X secolo, occuparono i terreni di Faraclonus per utilizzarli come pascoli stagionali. Tra l’XI ed il XII secolo, i Normanni eliminarono prima la dominazione bizantina dalla penisola meridionale e successivamente quella araba dalla Sicilia.  Il Meridione fu unificato; Ruggero II d’Altavilla fu incoronato nel 1128 duca di Puglia e di Calabria e nel 1130 Re di Sicilia stabilendo la sua corte a Palermo. Verso la fine del XII secolo, però, gli Svevi, dopo cruente battaglie, subentrarono ai Normanni. Enrico VI di Hohenstaufen fu incoronato Re di Sicilia nella notte di Natale del 1194 ed il giorno dopo, a Jesi, la moglie Costanza d’Altavilla partorì Federico II, lo stupor mundi. La località Faradomus fu inclusa nella donazione di un vastissimo territorio della Sila che l’imperatore Enrico VI concesse a Gioacchino da Fiore il 21 ottobre del 1194.  L’abate di Fiore, dopo questa donazione, vi costruì un oratorio dedicato a San Giovanni Battista provocando un aspro contenzioso con i monaci basiliani.  L’imperatrice Costanza d’Altavilla confermò la donazione di Enrico VI e, nel 1199, l’arcivescovo Bartolomeo di Palermo emise la sentenza a favore dei monaci florensi.  Dopo la morte di Gioacchino, un violento incendio divampato verso la fine del 1214 distrusse il proto monastero di Jure Vetere, “in omnibus hedificiis suis.  L’abate Matteo, successore di Gioacchino, dopo un tentativo di ricostruzione, ottenne da Papa Innocenzo III, nel febbraio del 1215, l’autorizzazione a costruire una nuova sede in un altro luogo meno freddo e più adatto alla vita monastica (liceat vobis descendere Calabriam). Luca di Cosenza rese noto l’accordo raggiunto nel 1215 fra l’abate di Fiore e l’abate dei Santi Tre Fanciulli con la definitiva rinuncia dei monaci basiliani su Fara domus. I florensi, confermando la scelta del loro fondatore, si spostarono di soli 5 km e restarono sui monti della Sila, inter frigidissimas alpes.  Nella località Faradomus eressero l’attuale complesso abbaziale di San Giovanni in Fiore, probabilmente ampliando e consolidando la preesistente fabbrica monastica avviata da Gioacchino nel 1195. Il nuovo complesso conservò la denominazione di Monasterium Sancti Iohannis de Flore, a testimonianza della valenza simbolica del nome Fiore e fu ultimato entro il 1234. Una vicenda che Federico II, concedendo ulteriori privilegi ed il diritto d’asilo al Monastero, riassunse così: ” In primis locum ipsum qui nunc Flos, olim vero dictus est Faraclonus, in quo post combustionis infortunium Florense Monasterium non sine Apostolice concesionis autorictate mutatum est”.

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